Bufala letteraria del giorno: “Io non ho mai tradito i miei valori”
Quando la rubrica delle Lettere diventa affissione di campagna elettorale in prosa — gratis, pure. Indecoroso.
POLITICA
by Martin J. Osburton
8/24/20252 min leggere


Ci risiamo: sulla stampa compare l’ennesima “replica” a un attacco politico, infilata nello spazio che — ingenuo io — dovrebbe dare voce ai cittadini e non ai comizi travestiti. “Lettere”, dicono. Becera campagna elettorale, risponde l’italiano.
Anatomia di una pseudo‑lettera. Il testo si apre con un Io grande così: “Io non ho mai tradito… Io ho concordato… Io ho portato…”. Curriculum in formato omelia civica. C’è di tutto: accordi diretti con la leader, la capolistatura, il pionierismo del partito allora “irrilevante”, l’espulsione eroica per difendere l’Autonomia. Va bene, applausi. Ma, piccolo dettaglio: questa è una lettera al direttore o un dépliant? Perché la differenza conta. E qui — mi spiace — profuma di santino elettorale più che di confronto.
L’uso creativo della Storia (spoiler: serve a zittire). Si invoca la parola “traditore” e si trascina dentro il Fascismo. Pesante. Troppo. È la solita iperbole d’accusa: elevare il dissenso a sacrilegio per moralizzare la contesa. Funziona? Certo che si!! Se l’obiettivo è oscurare le questioni politiche con un gigantesco cartello: “indignatevi qui”. Letteratura povera, retorica ricca. E no, non è un complimento.
“Coerenza” a geometria variabile. “Non ho mai supplicato candidature.” “Ho sempre mantenuto la stessa linea.” Perfetto. Ma allora perché la scena madre su chi è eletto altrove, chi “impone dall’alto”, chi non è “radicato”? Qui la coerenza fa zig‑zag: si condanna il paracadute degli altri mentre ci si vanta del proprio decollo verticale. Dettagli? Certo. Però la letteratura — quella seria — campa di dettagli.
Autonomia come talismano retorico. Ogni due righe sbuca l’Autonomia: brandita, accarezzata, sventolata. Ma a furia di invocarla, diventa una parola‑talento: guarisce, assolve, sostituisce l’argomento. Domanda retorica: non sarebbe più utile parlare di sanità, trasporti, giovani che scappano, scuole che arrancano? O serve ancora qualche pagina di agiografia?
Il giornale, pardon: il palcoscenico. Siamo onesti: lo spazio delle Lettere non può trasformarsi nella rubrica “Comizi in prosa”. O vogliamo davvero continuare con questa campagna elettorale gratuita dove chi ha il tesserino retorico passa avanti ai lettori? Non sono messaggi subliminali — lo ammetto — perché di subliminale non c’è nulla: è tutto spudoratamente esplicito. Domani che facciamo, allegato lo spot in quarta di copertina?
Non mi interessa a quale carro siate appesi: destra, sinistra, centro o giostra. Qui il punto è un altro: la poetica dell’Io messa al servizio di una strategia. Si finge un dibattito sui valori, ma la metrica è quella dei rapporti di forza. Si invoca il “confronto”, mentre si spunta la spada dell’etichetta. Si bacia la modestia e intanto si contano i centimetri delle poltrone. Letteratura? No: prosa amministrativa dell’autoassoluzione.
Restituiamo la scena a chi non ha uffici stampa e, già che ci siamo, ai fatti.
Perché quando finirà la musica dello slogan e resterà la voce nuda della politica, la metrica cambierà: niente cori, solo risposte. E lì — senza bufale letterarie — vedremo chi sa davvero scrivere la realtà.
Lo spazio pubblico non è un cavallo di Troia. Se una “lettera” sembra un manifesto, probabilmente lo è.
Riflessioni
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