Criminologi d’agosto: ‘funghi’ mediatici sotto l’ombrellone

Tra repliche televisive, corsi lampo e opinionisti “prêt-à-porter”, la cronaca nera dell’estate diventa show business – e noi, sotto il solleone, rischiamo di scambiare l’intrattenimento per sapere.

SOCIETÀ

by Martin J. Osburton

8/6/20252 min leggere

Agosto, l’aria condizionata gracchia, i titoli di coda scorrono lenti come zanzare stanche. Le emittenti colmano il silenzio con repliche estive e quiz di cartapesta; in sottofondo senti il fruscio di un telecomando abusato più di un ombrellone da spiaggia. La stagione calda porta via la grande cronaca, ma non la sete di racconto: nel vuoto, le luci di studio si riaccendono su nuovi e vecchi “analisti dell’animo”, pronti a sviscerare delitti mentre il popolo si spalma l’aloe. È l’eterna ipnosi: riempiamo la noia con parole, magari col brivido di un cold case che – guarda caso – riemerge proprio quando i titoli freschi scarseggiano.

Così, non stupisce nessuno se, a un certo punto, un canale pubblico decide di sparare quattro prime serate piene di cronaca nera “che, apparentemente, l’Italia ricorda a memoria”.
Eppure il format, per certi aspetti, gioca la carta dell’eleganza: ricostruzioni secche, tecnici di laboratorio in camice lindo, criminologi in piena luce.

Il conduttore, anche lui è quasi un prete laico, parla piano, scandisce come al catechismo e ripropone casi — tipo Meredith Kercher o Garlasco — che, a dire il vero, conosciamo già a menadito, solo con tovaglia fresca. In realtà, la promessa suona “indagine tosta”, ma è quello l’ossimoro: rigore messo lì fra uno spot di zampironi e l’altro mentre, nel frattempo, il pubblico afferra il cucchiaio e il gelato comincia a colare. Alla fine della giornata, più o meno, restiamo sul divano convinti di sfamare l’anima, quando, probabilmente, stiamo solo addentando l’ennesima replicheria del delitto.

La scena, però, pullula di volti che passano con agio dall’aula forense alla D’Urso-cronaca. Prendiamo Davide Barzan, “il criminalista più trasmesso d’Italia”, inseguito da inchieste televisive (Le Iene) che hanno raccontato dubbi sul suo curriculum nonché svariate denunce. È il simbolo di un sistema dove il titolo accademico pesa meno del minutaggio rotocalco: basta un microfono sul lungomare e l’esperto decifra perfino i gabbiani che litigano sul pattino. Gli autori sorridono, l’audience regge, noi scambiamo la consultazione scientifica con la chiacchiera da chiringuito.

Così, se la tv accende la voglia, in realtà il web porta il piatto già pronto sul tavolo. Anche questo è quasi buffo: banner sgargianti spingono il marchio “PEKIT Criminalistics”, promettendo, più o meno, che bastino due quiz e ti stampi da solo il diploma in pdf. Requisiti? Solo un pezzo di carta della maturità e, a proposito, una linea Wi-Fi che non molli, magari mentre sorseggi un caffè in veranda vista mare.

Eppure, il paradosso, chiaramente, salta agli occhi: nei reparti servirebbero dottori; invece, ci ritroviamo una folla di aspiranti profiler, come se, in un certo senso, tutta la penisola fosse diventata una puntata di CSI con odore di piadina. Fondamentalmente, la patente di “scienziato” low-cost, ora, vale parecchio più di un tomo di Dostoevskij.

Dunque, che farsene di questi ‘funghi’ mediatici? Chi legge letteratura internazionale sa che il male non si riduce a infografica, e che l’indagine autentica richiede lentezza, dubbio, contraddizione. Tra un’ondata di titoli ai confini dell’hype e l’ennesimo profiler da ombrellone, il vero lusso sarebbe aprire un libro – non necessariamente di true crime, magari un saggio sul potere della narrazione – e sfidare la pigrizia collettiva. Perché la cura all’estate di repliche non è l’esperto last-minute; è la capacità critica di chi ascolta. Se continuiamo a scambiare la fermentazione delle opinioni per analisi, domani troveremo più criminologi che lettori: e allora sì, l’emergenza non sarà il delitto, ma l’assenza di pensiero.

“Finché confonderemo la luce artificiale dello studio con l’alba della conoscenza, resteremo turisti del sapere: abbronzati fuori, pallidi dentro.”