Culture House: a Londra rifiorisce la memoria somala
Tra architettura, comunità e narrazione, un esperimento che mette in discussione l’idea stessa di museo.
ARTE
by Martin J. Osburton
9/8/20252 min leggere


Dimentichiamo l’oleografia: Roma non c’entra. A Shepherd’s Bush, al margine delle vie dove si mescolano spezie, lingue, autobus affollati, la memoria somala ha trovato una casa. Non un santuario del passato, ma un’officina del presente: qui gli oggetti —mi correggo, le storie— ricominciano a parlare.
Memoria riaperta, non imbalsamata. A pochi passi da Uxbridge Road è nata Culture House, primo spazio permanente nel Regno Unito dedicato al patrimonio somalo. L’apertura è del maggio 2025; in sala decine di artefatti confluiti da abitazioni private. «Artefacts were just sitting in suitcases in people’s homes»: erano chiusi in valigie, invisibili, e ora sono pagine di un libro collettivo. La collezione è ordinata in tre traiettorie chiare —Spiritual Echoes, Threads of Daily Life, Crafting for the Individual— per restituire una grammatica del quotidiano, non la cartolina esotica. Con il supporto di conservatori, l’allestimento segue standard museali e prevede mostre a rotazione.
Architettura come prova di presenza. Il luogo non è neutro: un’ex caserma dei pompieri riadattata, a due passi dal mercato. Lo studio Freehaus ha scelto una regia sobria —ritmo dei percorsi, luce diffusa, matericità accogliente— per evocare estetiche somale senza teatrini “etnici”. L’edificio diventa dispositivo narrativo: si entra, si ascolta, si discute. Un gesto politico oltre che formale: esiste una comunità che non chiede vetrine, ma rappresentanza.
Le cose raccontano chi le ha toccate. Campanelle da cammello, pettini intagliati, tessuti, utensili: oggetti d’uso, non reliquie. La curatela lavora in sottrazione, come una nota a margine che lascia spazio alle voci. Il risultato è un lessico di pratiche quotidiane: mangiare, pregare, cucire, migrare. Le tre traiettorie non chiudono, aprono: tengono insieme il respiro spirituale, i fili della vita domestica e la mano dell’artigiano. Non monumentalizzare ma contestualizzare: è l’antidoto all’“estetica exotica” che appiattisce tutto a motivo decorativo.
Una house che programma, non solo espone. Dietro le vetrine c’è un soggetto collettivo, l’Anti‑Tribalism Movement (ATM), che ha raccolto per anni donazioni “di casa” e oggi le trasforma in servizio pubblico. Il museo è gratuito, con apertura concentrata tra giovedì e sabato, per sostenere un ritmo sostenibile e di prossimità. Indirizzo: 5A Uxbridge Road, W12 8LJ — restare nel quartiere conta più di mille mission statements. Accanto all’esposizione, laboratori di poesia, archivio digitale, serate di open mic e programmi educativi rivolti alla diaspora e al pubblico generale: la cultura come pratica prima che come esposizione. (Sì, sembra banale. Non lo è.)
Decolonizzare senza slogan. Culture House è proposta come primo spazio permanente guidato da somali per il patrimonio somalo nel Regno Unito: non un’appendice “mondo”, ma una contro‑cornice che dialoga con le istituzioni maggiori. L’obiettivo è cambiare metodo: coinvolgere le comunità diasporiche nella cura e nell’interpretazione; rendere trasparenti le provenienze; creare accesso tramite traduzioni e digitale; sostenere artisti emergenti. Anche la presenza nel programma dell'Open House Festival 2025 (13-21 settembre) ribadisce l'apertura alla città e una rete che può contagiare pratiche consolidate. Domanda retorica, ma necessaria: se non così, come si decostruisce l’esotismo? Con nuovi cartelli o con nuove responsabilità?
Un museo che si legge come un libro. A ben vedere, Culture House funziona come un volume rilegato: l’architettura è la copertina, gli oggetti i capitoli, i laboratori le note a piè di pagina che aprono discussioni. E le valigie chiuse—quelle che contenevano memorie—sono diventate biblioteche di relazioni. Il visitatore non è uno spettatore: è un lettore che lascia tracce. Allora, la domanda finale: un museo di comunità può evitare di appiattire gli archivi? Solo se resta poroso, se accetta la contraddizione, se preferisce la relazione all’icona. In una parola: restituzione.
Qui l’arte non sta sul piedistallo: respira. Culture House non chiede applausi, chiede ascolto. La cultura non è un trofeo: si restituisce. E allora —davvero— restituiamo.
Riflessioni
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