È troppo tardi per rivedere il sistema pensionistico? L’Italia davanti all’esodo silenzioso
Tre milioni di uscite entro il 2029, servizi sotto pressione, Nord in affanno. Riformare ora per evitare il replay delle “lacrime”.
PREVIDENZA
by Martin J. Osburton
8/25/20253 min leggere


Partiamo dal dubbio che graffia: siamo fuori tempo massimo? Tra il 2025 e il 2029 l’Italia perderà poco più di 3 milioni di lavoratori, circa il 12,5% della forza lavoro. Non è allarmismo: è un grafico, freddo, che si muove. E noi—diciamolo—stiamo ancora discutendo del “se”, non del “come”.
I numeri che non fanno sconti. Le stime dell’Ufficio Studi CGIA (elaborazioni su Excelsior Unioncamere‑Ministero del Lavoro) parlano chiaro: 3,042 milioni di persone usciranno, di cui 1.608.300 nel privato, 768.200 nella PA e 665.500 tra autonomi. Le regioni più esposte per rimpiazzi sono Lombardia (567.700), Lazio (305.000) e Veneto (291.200); in coda Umbria (44.800), Basilicata (25.700), Molise (13.800). Dentro i settori, il cuore dell’onda è nei servizi (72,5% dei rimpiazzi), poi industria (23,8%) e agricoltura (3,6%). Questi non sono dettagli: sono istruzioni operative per chi governa e per chi assume.
Il tempo biologico del lavoro. C’è poi l’indice di anzianità: in due anni è salito fino a 65,2. Tradotto: Per ogni 100 under 35 ci sono 65 over 55. Con differenze vistose: Basilicata oltre 82, Sardegna 82, Molise 81; sul lato “più giovane” il Trentino‑Alto Adige a 50,2. Il prossimo quinquennio, quindi, non è solo un problema di sostituzioni, ma di trasmissione di competenze: chi insegna a chi entra? E quando, se i tutor escono in blocco? Sì, lo so: sembra banale. Ma i turni non li coprono le teorie.
La lezione del 2011, senza nostalgia. Ricordiamo tutti quell’immagine: conferenza stampa, commozione e la frase sui “vincoli finanziari severissimi”. Non per spettacolarizzare, ma per un avvertimento semplice: chi arriva tardi paga di più. Oggi le condizioni macro sono diverse, ma l’effetto “shock tardivo” resta possibile se rinviamo. Nessun feticcio del passato: solo memoria istituzionale per evitare un’altra riforma “lacrime e sangue”.
Che cosa fare adesso (e non tra un anno). No, non serve l’ennesimo manifesto. Serve manutenzione del futuro. Meno slide, più viti e bulloni. Significa non buttare via l’esperienza proprio quando serve a fare da ponte: chi ha montato macchine e turni per trent’anni non va accompagnato alla porta alle 17, va messo accanto a chi entra, perché il mestiere passa di mano solo guardandolo fare. Significa prendere sul serio i salari e la dignità del lavoro: attrazione non è una parola poetica, è un cedolino che non umilia e un’organizzazione che non brucia le persone.
Significa smettere di considerare il Paese un calendario a strappi: stagioni che si aprono e si chiudono come serrande, con vite appese al meteo. O di pensare che i talenti arrivino per magia: se vogliamo mani e cervelli, dobbiamo saperli accogliere bene — percorsi chiari, lingua, casa, contratti; non slogan. E poi c’è la formazione: scuola e impresa sulla stessa riga, laboratorio e tastiera. Guardare negli occhi l’Intelligenza Artificiale, senza fobie né infatuazioni: usarla dove fa risparmiare tempo e libera l'intelligenza, e tenere un cruscotto acceso per capire quando una mansione cambia pelle (prima che evapori). Tutto qui, in fondo. Poche mosse sobrie, fatte bene. Il resto è rumore.
Il senso (ancora) del sistema a ripartizione. Il nostro sistema a ripartizione ha senso se la base contributiva non si restringe e se la produttività cresce. Oggi capita l’opposto: meno giovani entrano, più senior escono, e la produttività annaspa. Non serve demolire l’impianto, serve aggiornarlo: incentivi alla complementare, premialità per la longevità attiva, automazione dove libera competenze (non solo costi), e regole stabili, non zig‑zag normativi. Se l’incertezza è la regola, l’investimento si fa piccolo e il salario resta corto. Detto meglio: senza decisioni chiare, la staffetta generazionale parte senza testimone—e quel testimone è il Paese.
Meglio una riforma ragionata prima, che un pianto dopo. Se vogliamo evitare l’ennesimo trauma, servono scelte adulte: salari, formazione, attrazione di talenti, flessibilità vera. I numeri bussano; non resteranno fuori ad aspettare. Il futuro non aspetta.
Riflessioni
Uno spazio per pensare oltre la superficie.
Creatività
martin@osburton.com
+?? ??? ??????? - vuoi sapere il mio numero di telefono ? Clicca qui.
© 2025. Tutti i diritti sono riservati.