Fabrizio Corona, redivivo dell’indignazione: perché gli crediamo ancora?

Dal necrologio fantasma di Papa Francesco alle chat “esplosive” di Martina Ceretti e Raoul Bova: Fabrizio Corona non è l’eccezione, ma lo specchio deformante di un sistema che converte ogni smentita in benzina per il falò dei click.

GOSSIP

by Martin J. Osburton

7/30/20254 min leggere

Img. Craata da ChatGPT
Img. Craata da ChatGPT

Francamente, Fabrizio Corona fa schizzare l’indignazione più in alto dello spread ogni volta che, in realtà, il suo nome lampeggia sullo schermo. Il 24 marzo 2025, ancora, lui racconta che Papa Francesco sarebbe già spirato al Gemelli di Roma, eppure il pontefice, un po’ divertito, ribatte con un audio e smonta tutto. Quattro settimane dopo, tipicamente, all’alba del 21 aprile, il Papa muore sul serio e, a proposito, la rete impazzisce: intuito sinistro o pura botta di fortuna? Come dicevo, in realtà, il punto non è solo lui ma un circo mediatico che, ancora, trasforma ogni smentita in benzina per lo scandalo seguente. Alla fine della giornata, fondamentalmente, continuiamo a cliccare e a regalargli palco perché, comunque, l’indignazione vende benissimo.

In breve, parecchi di noi, ancora, oscillano fra rabbia sincera e curiosità morbosa, e quello tende ad essere il mix che tiene vivo il personaggio. Ma il danno—anzi, il click—è fatto. Neanche quattro mesi e riecco Corona, questa volta al centro di un triangolo di messaggi vocali, passioni taciute e presunti tradimenti che coinvolge la modella Martina Ceretti, l’attore Raoul Bova e il rampollo milanese Federico Monzino.

Perché, dopo condanne, pene scontate e promesse d’addio alla ribalta, i media italiani continuano a farsi sedurre? Proviamo a incasellare la risposta.

A marzo Corona scommette la carriera (testuale: «Se da qui ai prossimi cinque mesi uscirà un'immagine video dove parla dal vivo io mi ritirerò a vita») sulla morte del Papa. Il Vaticano reagisce con bollettini medici e perfino un messaggio vocale di Francesco che scherza sul suo stato di salute, mentre gli analisti di disinformazione contano migliaia di profili fake impegnati a rilanciare la bufala. Risultato? Picco di visualizzazioni, decine di prime serate TV, nuovo traffico sui social di Corona. Il sistema premia la provocazione perché ogni controversia vale doppio: prima l’allarme, poi la rettifica‑show.

Salto a luglio. Federico Monzino ammette di aver «girato tutto» a Corona per «far uscire Marti al massimo». Le chat rimbalzano dal cellulare di Corona ai tabloid, quindi (misteriosamente) allo stesso Raoul Bova. Ceretti scompare dai social, poi riappare accusando Corona di averle somministrato droga — accusa che Monzino smentisce, definendo il loro rapporto «più che amicizia».

Ogni volta che Fabrizio Corona azzarda, così, uno “scoop della Madonna”, l’opinione pubblica esplode più o meno come un petardo in pieno agosto e, a proposito, nessun filtro social riesce a spegnere quel boato. I numeri, in realtà, sono lì a raccontarlo: dopo 13 anni di guai chiusi nel 2023, lui colleziona, ancora, nuove accuse — l’ultima, per esempio, arriva a maggio 2025 per quella fuga dai domiciliari del 2021 — e, nel frattempo, produce traffico, spot, hashtag che girano a ritmo forsennato. Il gioco, eppure, è corale: piattaforme affamate di clic, testate che inseguono la marea, pubblico che, spesso, vuole la razione quotidiana di indignazione fresca. Finché l’attenzione frutta, la reputazione, in un certo senso, resta un gettone qualsiasi.

Nel 2007 Corona finì in cella per Vallettopoli; dal balcone lanciava mutande come biglietti da visita. Oggi basta un reel di 30 secondi: l’evoluzione tecnologica riduce gli spazi di verifica e amplifica la velocità di propagazione. Il paradosso è che l’Italia digitale, che pure s’indigna per le fake news, premia ancora la fonte che le origina. La vera “notizia” non è ciò che è vero, ma ciò che vien fatto girare prima. Continuare a dare credito a Corona significa ratificare un ecosistema dove il confine tra informazione e intrattenimento è evaporato. Ma ignorarlo non basta: senza alfabetizzazione mediatica, altri “corona‑minori” riempiranno il vuoto con contenuti ancora più tossici.

L’11 marzo 2025, cappellino calato e telecamera nascosta, Corona si piazza sotto l’appartamento milanese di Davide Lacerenza, allora agli arresti domiciliari per il caso di droga e prostituzione nel suo locale “Gintoneria”. Bussa, spalanca la finestra e innesca cinque minuti di dialogo surreale: Lacerenza balbetta «non posso parlare con te…», mentre Corona, gatto davanti al topo in gabbia, incalza su coca, escort e video compromettenti destinati alla sua serie pay‑per‑view Falsissimo.

Pochi giorni prima aveva già promesso ai follower «un’esclusiva clamorosa» con lo stesso Lacerenza, vantandosi di avergli sottratto un filmato hard per poi decidere – ennesima provocazione – di non diffonderlo «col c… che lo trasmetto». Una scena che trasuda strafottenza: il condannato che viola la quiete di un altro condannato e monetizza la trasgressione, mandando a carte quarantotto il senso stesso di quelle misure cautelari che, sulla carta, dovrebbero tenerli entrambi lontani dai riflettori.

La domanda, allora, non è «Perché Corona?» bensì «Perché noi?»: perché clicchiamo prima di dubitare? Perché premiamo la rabbia‑instant su cui poi piangiamo? Finché non rivedremo le metriche—dal palinsesto TV al feed personalizzato—il ciclo si ripeterà. In un certo senso, il caso Corona‑Papa Francesco ci mette davanti a una domanda che scotta: come reagiamo, comunque, se una bufala diventa realtà? Apparentemente, la morte del Papa non salva l’immagine di Corona, eppure ci obbliga a smontare e rimontare l’idea di credibilità online.

A proposito, forse la dritta giusta non è “non fidarti mai di Corona”, ma, piuttosto, “impara a gestire un’informazione dove pure chi consideri inaffidabile, a volte, becca la notizia”.
Come dicevo, finché versiamo la nostra moneta chiamata attenzione, la cassa di risonanza resta aperta senza sconti. Alla fine della giornata, o chiudiamo noi il supermercato dell’indignazione, oppure accettiamo che la fake di stamattina, quasi, diventi la cronaca di domani.