Genocidio in diretta streaming: l’Unione Europea davanti allo specchio
Se Bruxelles non applica le proprie regole, la reputazione dell’Europa affonda insieme a Gaza.
POLITICA ESTERA
by Martin J. Osburton
8/4/20253 min leggere


Il massacro a Gaza scorre sugli schermi e nei report delle Nazioni Unite, ma nei palazzi di Bruxelles il silenzio pesa più delle bombe. L’UE possiede leve economiche, commerciali e diplomatiche capaci di fermare — o almeno frenare — l’escalation israeliana. Eppure, finora, nulla di concreto: né sospensione dell’Accordo di associazione, né embargo sulle armi, né sanzioni mirate. Un’inerzia che, giuridicamente e moralmente, trasforma l’Europa da spettatrice a complice.
L’accordo “blindato” che l’Europa finge di non leggere. L’Articolo 2 dell’Accordo di associazione UE-Israele (2000) subordina tariffe zero, programmi Horizon ed Erasmus al rispetto dei diritti umani. La clausola è cristallina: se una parte viola quei principi, l’altra deve sospendere l’intesa. Diverse ONG — da Amnesty a Human Rights Watch — hanno chiesto lo stop immediato, citando “grave non-conformità” di Israele.
La Commissione europea ha concluso che Israele viola materialmente il rispetto dei diritti umani secondo l'articolo 2 dell'Accordo di associazione, come confermato dalla revisione avviata nel 2024. Eppure, nelle riunioni dei ministri degli Esteri, la misura resta “in discussione”. Discus-che? Quando la clausola è essenziale, la discrezionalità non esiste: o si sospende, o si viola il proprio diritto.
Un gigante economico che rifiuta di alzare la voce. L’Europa è il primo partner commerciale di Israele, assorbendo il 32 % del suo interscambio merci nel 2024, pari a oltre € 42 miliardi. Parliamo di dazi azzerati su quasi tutti i beni esportati e importati. Persino in pieno assedio di Gaza, l’interscambio è cresciuto di un ulteriore miliardo di euro.
Eppure Bruxelles decide di “limitarsi alle condanne verbali”. Quale credibilità vanta l’UE quando congela 15 pacchetti di sanzioni contro la Russia, ma non uno solo contro Tel Aviv? L’effetto boomerang è devastante: in Africa, Medio Oriente e America latina il doppio standard europeo viene brandito da Mosca come prova dell’ipocrisia occidentale.
Armi: il carburante made in Europe. Dal 2019 al 2023 Israele è diventato il quindicesimo importatore mondiale di sistemi d’arma; buona parte arriva da Stati membri come Germania, Italia e Francia. Dopo l’assedio di Rafah, Berlino ha temporaneamente bloccato licenze per armamenti pesanti, riducendo l’export da € 327 milioni (2023) a poche decine di migliaia quest’anno — ma l’embargo comune resta tabù.
Nel Parlamento europeo cresce la pressione: stop totale alle licenze, divieto di transito negli aeroporti e porti dell’UE, black-list per i ministri che auspicano deportazioni. Tuttavia il Consiglio rimane impantanato nel veto di paesi come Ungheria e Repubblica Ceca. Intanto, ogni missile europeo che attraversa il Mediterraneo “chiama per nome” la complicità di chi lo ha autorizzato.
La disfatta diplomatica e il regalo a Putin. A dicembre 2024 il Consiglio Affari Esteri ha ribadito il sostegno alla soluzione a due Stati e chiesto “cessate il fuoco immediato”. Bellissime parole, zero conseguenze. Nel Sahel, dove mercenari russi addestrano giunte militari, la narrativa è semplice: l’Europa difende i civili in Ucraina ma non i bambini di Gaza. Il risultato? Calo di voto pro-Ucraina all’ONU e terreno fertile per la propaganda del Cremlino. Nel frattempo, Donald Trump ha già imposto sanzioni concrete alla Corte Penale Internazionale nel febbraio 2025, accusandola di “azioni illegittime e prive di fondamento” contro Israele. Se l’UE non agisce ora, rischia di ritrovarsi senza sponde statunitensi e con un ordine multilaterale in frantumi.
Cosa può (e deve) fare Bruxelles — subito. 1) Sospendere l’Accordo di associazione fino al pieno rispetto dei diritti umani. 2) Embargo totale sulle armi e sulle componenti dual-use destinate alle FDI. 3) Stop alle importazioni da insediamenti illegali, in linea con le sentenze della Corte di giustizia. 4) Sanzioni mirate agli alti funzionari che incitano al trasferimento forzato. 5) Sostegno pubblico e finanziario alla Corte penale internazionale, proteggendo giudici e personale da ritorsioni. Sono strumenti esistenti, non fantasie. Basta attivarli.
Se l’Europa vuole ancora presentarsi come faro di diritti, non può continuare a illuminare a intermittenza: luce accesa su Kiev, luce spenta su Gaza. Perché chi sceglie l’oscurità oggi verrà giudicato domani — e il verdetto della Storia non ammette appelli. Meglio agire ora che spiegare in futuro perché non lo si è fatto.
#Gaza #UE #DirittiUmani #ONU
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