Il Cagnulari, o dell’equivoco fecondo

Storia breve di un vitigno sardo a lungo frainteso, ma splendidamente autentico.

SARDEGNA EXPERIENCE

by Martin J. Osburton

8/28/20253 min leggere

L’errore, a volte, non distrugge: feconda. Il Cagnulari viene da lì, da un malinteso che l’ha nascosto e insieme salvato. Non ha fatto rumore. Ha aspettato che la storia, finalmente, si correggesse da sola.

Un’identità nata in controluce. Tra Usini, Ossi, Tissi, Uri e Ittiri, a nord‑ovest di Sassari, questo rosso ha messo radici sui colli calcareo‑argillosi battuti dal maestrale. Qui si coltiva ancora “ad alberello”, vecchia scuola e schiena dritta, un gesto agricolo che è quasi una postura morale. Non è folklore: è terroir. E la mappa coincide con l’areale della DOC Alghero, dove la varietà ha trovato la sua voce più nitida.

Per secoli l’hanno messo in compagnia sbagliata. Lo si è assimilato al Bovale, complice il passato aragonese che ha seminato vitigni iberici sull’isola. Un’ipotesi storica sensata, certo, ma incompleta. La svolta è arrivata quando allo sguardo ampelografico s’è aggiunto il profilo genetico: qui l’equivoco si è incrinato.

La prova dei geni (e la pazienza dei vignaioli). Le banche dati italiane (progetto AKINAS e Italian Vitis Database) registrano il Cagnulari con località di selezione: Usini e documentano l’identità varietale con marcatori SSR; soprattutto attestano la corrispondenza del profilo genetico con “Graciano” (e “Morrastel”), chiarendo un nodo cruciale della parentela iberica. Tradotto: il nostro sardo parla, almeno in parte, il dialetto di Rioja. Eppure, resta sardo fino al midollo, per geografia, clima, mani.

Anche il Consorzio Alghero DOC è netto: “Cagnulari, also known as Graciano”, un grappolo di storia che viaggia ma poi si radica. A pagina di disciplinare, inoltre, si ricorda che, come monovitigno, è storia recente: prima serviva a dare schiena ai tagli; oggi ha nome e cognome in etichetta (Alghero DOC e, spesso, Isola dei Nuraghi IGT). Segno che l’equivoco si è fatto identità.

Colore, profumi, sapore: la grammatica del bicchiere. Qui concedetemi una citazione, breve ma necessaria. Il Consorzio descrive il vino da Cagnulari con “ruby‑red color and intense aromas of wild berries, with spicy notes and balsamic accents”, poi “dry, slightly tannic, yet balanced”. E sì: basta un sorso e quei tratti si riconoscono come si riconosce una firma.

Detto in lingua di cucina: frutto scuro (ciliegia, mora), una scia di pepe e resina, quel tocco balsamico che sa di macchia mediterranea; in gioventù il tannino graffia appena—meglio: mette ordine—e con l’aria e gli anni diventa velluto ruvido, non di più. Il corpo è caldo, la freschezza non manca. Vino “serio”, non musone.

Tavola sarda, abbinamenti veri. Non pretende piatti complicati: li onora. Con l’agnello arrosto fa coppia di carattere; con selvaggina alla brace tira fuori la fibra; su formaggi stagionati tiene il punto senza sudare: abbinamenti scritti a chiare lettere nelle schede di cantina (e non da ieri). Provate anche su sughi rossi, zuppe di legumi, carni in tegame: è un compagno vigoroso ma leale.

Dal fraintendimento alla chiarezza (senza perdere mistero). Resta la lezione culturale, direi quasi letteraria. Il Cagnulari è un personaggio che ha letto la propria vita al contrario: prima confuso (Bovale? altro?), poi riconosciuto; prima comparsa, ora protagonista. Non ha alzato la voce. Ha lasciato parlare il territorio: i venti salmastri dell’Asinara, i suoli chiari, il sole largo. E la società—questa volta—ha ascoltato.

Nota su fonti e ambiguità. – La letteratura più solida conferma affinità strettissime (fino all’identità genetica) con Graciano/Morrastel; la somiglianza storica con Bovale è spesso citata e legata all’epoca aragonese. La confusione con Monica, occasionalmente citata in passato, non trova riscontro nelle analisi genetiche moderne che, pur collocando entrambi i vitigni in cluster affini, ne confermano l'identità distinta: questione che considero quindi superata.

Morale della favola? L’identità non nasce quando la urli; accade quando regge alla prova del tempo. Il Cagnulari lo mostra: dall’equivoco al sigillo, senza rancore. Bicchiere alla mano, la verità—quella buona—si sente.