Lady D, il passo che ci manca: mine, memoria e Ucraina
Dal sentiero di Huambo ai campi europei disseminati: una lezione che sanguina ancora.
SOCIETÀ
by Martin J. Osburton
8/31/20252 min leggere


Oggi, 31 agosto, ricordiamo Diana Spencer. Non solo la principessa delle copertine: la donna che attraversò un campo minato ad Huambo (Angola, 15 gennaio 1997) per dire al mondo che le mine antipersona sono un “assassino furtivo” — parole sue, pronunciate poche settimane dopo a Londra, con quella calma che smonta i sofismi. Ecco il punto: allora aprimmo gli occhi, oggi rischiamo di richiuderli.
Il trattato e la crepa. Il Trattato di Ottawa nasce alla fine del 1997 (firma a Ottawa il 3–4 dicembre, entrata in vigore 1999). Una comunità internazionale che sceglie, per una volta, la tutela dei civili prima della propaganda. 165 sono oggi gli Stati parte. Ucraina vi ha aderito (ratifica 2005) ma nel 2025 ha annunciato l’intenzione di ritirarsi; la legge è materia dei parlamenti e la validità giuridica dipende dall’art. 20: il recesso scatta dopo 6 mesi dal deposito all’ONU e non ha effetto finché lo Stato è in guerra. Regole fredde, sì; ma servono proprio quando la paura scalda troppo.
Ucraina, 2025: il peso dell’invisibile. Oggi circa il 23% del territorio ucraino (≈139.000 km²) è potenzialmente contaminato da mine e ordigni inesplosi. Significa campi non coltivati, case non ricostruite, strade non percorse. Per ripulire serviranno anni e una montagna di risorse: stime fra 34 e 37 miliardi di dollari, a seconda dei metodi e delle aree prioritarie. Non è spesa retorica, è assicurazione sulla vita dei civili che rientrano.
Uso delle mine: i fatti (non le tifoserie). Dal 2022 forze russe hanno impiegato almeno 13 tipi di mine antipersona (tra cui POM‑3). Human Rights Watch ha inoltre documentato l’uso di PFM‑1 da parte ucraina nell’area di Izium nell’estate 2022; Kyiv ha promesso un’indagine. Se ci chiediamo cosa direbbe Diana, iniziamo da qui. La mina è indiscriminata. Chi la usa colpisce anche i suoi domani. Punto.
Una nostalgia attiva (non un santino). Ci manca quel passo. La sua spalla stretta sotto il giubbetto HALO, il sorriso timido e ostinato; e quella frase semplice che ti rimette in riga — “stealthy killer” (killer silenzioso) — perché le parole contano quando tagliano il velo degli alibi. Se fosse qui, Lady D farebbe due mosse: direbbe no all’uso delle mine antipersona (da chiunque), e sì a difese alternative; poi pretenderebbe mappe pubbliche, segnaletica, bonifica e trasparenza sui tempi. Realismo, certo—ma senza sconti al principio. E —lo so— ci direbbe anche di smetterla con le supercazzole: le eccezioni “temporanee” diventano abitudini. Sempre.
La politica dei piedi per terra. Qualcuno obietterà: “In guerra servono barriere rapide”. Vero. Ma la legge tiene aperta una porta (male interpretata, spesso) e il resto lo fa la scelta politica. Nel 2025 cinque Stati hanno avviato il recesso: i tre Paesi baltici (Estonia, Lettonia, Lituania), oltre a Polonia e Finlandia. È la prima volta che gli Stati parte escono dalla Convenzione. Capita quando l’ansia strategica mangia la norma. È proprio qui che la memoria di Diana diventa scomoda: ci ricorda che la sicurezza non si difende accecandosi.
Noi, oggi? Tre verbi, senza retorica: finanziare, insistere, misurare. Finanziare HALO Trust e MAG: più squadre = più vite salvate (e più campi restituiti). Insistere perché i governi, anche amici, non banalizzino il ritorno alle mine: Ottawa non è un vezzo, è un argine civile. Misurare: chiedere dati aperti su aree bonificate, tempi e costi; fissare target trimestrali, non slogan. È noioso? Sì. È proprio il lavoro che lei avrebbe spinto a fare—senza flash.
Oggi, LadyD merita un ricordo utile: una donazione o un’ora di volontariato per chi smina; una mail al parlamentare per difendere l’OttawaTreaty; un post che non si vergogni di dire Ukraine e Landmines nella stessa frase, senza tifoserie.
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