L’esodo d’argento: perché i pensionati italiani fanno le valigie
Spagna, Albania e Grecia non sono più utopie da dépliant turistico, ma coordinate di sopravvivenza economica che obbligano l’Italia a ripensare se stessa.
PREVIDENZA
by Martin J. Osburton
8/4/20254 min leggere


Da “migranti di ritorno” a nuovi nomadi fiscali. Si parlava un tempo di rimpatriati; oggi il moto è inverso. Le ultime rilevazioni dell’INPS mostrano che oltre 310 mila assegni pensionistici vengono correntemente erogati oltre confine, un flusso che vale 1,75 miliardi di euro l’anno e cresce di quasi il 3 % su base annua. Se si guarda solo a chi ha lavorato e poi ha trasferito la residenza dopo il pensionamento – i “pensionati di fresca emigrazione” – la platea è di 228.600 persone, tre volte il dato 2010. In parole povere: ogni mese scompare dall’economia domestica l’equivalente del PIL di un piccolo capoluogo, e con esso un pezzo della domanda interna alimentata da chi, per storia anagrafica, spende soprattutto in servizi di prossimità.
Equilibri di bilancio nel trolley. Perché andarsene? Prima di tutto per un calcolo freddo, quasi ragionieristico: con una pensione media di 1 200 euro, il potere d’acquisto raddoppia se le bollette sono la metà e l’aliquota fiscale un terzo. In Tunisia, ad esempio, solo il 20% della pensione è assoggettato a tassazione con aliquote variabili che comportano un carico fiscale effettivo del 3-5%; tradotto, meno di una mensilità l’anno finisce al fisco. A Cipro vige una flat tax del 5 % sopra i 3 420 euro annui (applicabile solo alle pensioni private, non a quelle pubbliche), mentre Grecia e Romania si fermano rispettivamente al 7% per quindici anni e al 10% secco, senza scaglioni. Albania e Slovacchia non tassano affatto la pensione estera (l'Albania ha formalizzato questa esenzione nel 2020), limitandosi a chiedere 183 giorni di permanenza per accogliere il contribuente come “residente non abituale”. Numeri del genere non sono solo notai del portafoglio: diventano termometro di un diritto alla vecchiaia che in patria molti percepiscono, se non negato, quantomeno indebolito dall’inflazione sanitaria e dagli affitti cittadini inaccessibili. Alla fine, l’«uomo in pensione» – avrebbe detto qualcuno – interpreta l’arte del possibile: sceglie la geografia come leva di riequilibrio dei propri conti.
Geografie dell’ultima libertà. La mappa restituisce, a colpo d’occhio, una cintura mediterranea dove si vive all’aria aperta quasi dodici mesi l’anno. La Spagna resta la calamita principe: Costa del Sol e Canarie offrono sanità pubblica di buon livello e una comunità di connazionali che rende mite anche la nostalgia. Seguono il Portogallo, che non gode più dell’esenzione fiscale integrale ma conserva costi immobiliari ragionevoli, e la Francia di confine, dove alcuni preferiscono un département rurale alla Riviera dei prezzi gonfiati. Fuori dall’area Schengen si assiste al “boom albanese”: Durrës e Valona, un tempo porti di migranti in senso opposto, oggi ospitano stabili enclave dove con 300 euro si affitta un trilocale e la spesa settimanale raramente supera i 40 euro. Tunisia e Grecia completano il quadro grazie al clima, alla lingua franca del turismo e – non guasta – alla rapidità con cui si rientra in Italia per una visita al medico o ai nipoti. In sottofondo, agisce la retrotopia: la ricerca di una dimensione comunitaria che la metropoli italiana, nervosa e cara, sembra aver smarrito.
Il rovescio della medaglia domestica. Finché a partire erano poche migliaia di pensionati pionieri" o "pensionati espatriati, il fenomeno restava una curiosità sociologica. Ma con 33 trasferimenti ogni 100mila pensionati e un tasso di rientro vicino allo zero, l’Italia deve ora farsi due conti: meno consumi interni, minor gettito Irpef locale, nuove pressioni sulla sanità pubblica (chi resta è mediamente più fragile e ha redditi più bassi). Allo stesso tempo, l’esportazione di pensione contribuisce a stabilizzare alcune economie del Sud Europa e del Nord Africa, creando una inedita dipendenza rovesciata dal welfare italiano. Domanda scomoda, quanta sovranità previdenziale siamo disposti a cedere pur di non ripensare le città, i servizi e la tassazione? Se il destino è «un appuntamento con noi stessi», l’esodo d’argento ci sta già aspettando al varco – con le valigie in stiva e il cedolino INPS in tasca.
Consigli pratici, tra burocrazia e realtà. (Le informazioni fiscali sono soggette a modifiche normative. Si raccomanda sempre la consulenza di esperti fiscali qualificati prima di prendere decisioni di trasferimento). Prima di idealizzare la partenza, conviene ricordare che occorrono passaggi obbligati: iscrizione all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero), verifica dei trattati sulla doppia imposizione, attenzione alle pensioni da lavoro pubblico sempre tassate in Italia e, soprattutto cosa molta importante, una copertura sanitaria aggiuntiva dove il sistema locale non basta o è poco efficiente.
Visite esplorative preventive e contatti con le reti di compatrioti, generalmente sempre presenti, evitano amari risvegli. L’Agenzia delle Entrate, intanto, ha intensificato i controlli sulle “residenze di carta”, perché non si cada nel paradosso di ‘farsi vedere’ al bar sotto casa dichiarando al catasto di risiedere a Las Palmas. "È importante considerare anche i potenziali svantaggi: distanza dai familiari, barriere linguistiche in alcuni Paesi, possibili differenze nell'assistenza sanitaria e la necessità di adattarsi a sistemi burocratici diversi."
In definitiva, più che fuga è trasferimento strategico: un progetto che premia chi lo orchestra per tempo e punisce chi lo improvvisa. Il passaporto, a certe latitudini, non basta: serve un piano di sostenibilità personale. Se l’Italia è davvero «il Paese dei bamboccioni», forse i primi ad accorgersene sono proprio i nonni: quelli che, col sorriso, salutano i nipoti via Wi‑Fi e intanto ricordano a tutti che la moneta più forte resta sempre la vecchia abitudine di fare i conti – magari su una terrazza affacciata sul mare greco.
Riflessioni
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