L’ultimo “straniero” — L’eredità inquieta di Goffredo Fofi
La scomparsa del critico militante ci costringe a scrutare la cultura italiana dal margine che lui abitò per tutta la vita, lì dove s’incontrano disuguaglianza sociale e immaginazione estetica.
LETTERATURA
by Martin J. Osbuton
7/12/20253 min leggere


L'11 luglio 2025, a ottantotto anni, si è spento Goffredo Fofi, educatore, saggista, maestro di un pensiero inquieto e volutamente laterale. La stampa lo definisce 'intellettuale fuori dagli schemi';" in realtà Fofi amava collocarsi proprio fuori dal quadro, di taglio, perché da quell’angolo obliquo — la «periferia dell’anima», la chiamava — il mondo risulta meno pacificato, più vero.
Il metodo “critica & azione”. Nei Quaderni Piacentini, in Ombre Rosse e, più tardi, in Lo Straniero, la recensione non era mai mero giudizio estetico: diventava gesto politico, dispositivo di smascheramento. La lettura, per Fofi, implicava prendersi cura della frattura sociale che trapelava dalle pagine o dai fotogrammi. Non a caso, già negli anni Sessanta denunciava la “questione meridionale” rileggendo Verga, De Santis, Pasolini; poi avrebbe applicato lo stesso sguardo alle metropoli globali, definite “terzi mondi domestici” ben prima che il termine gentrification entrasse nel lessico comune.
Totò e gli “ultimi”. Colossale resta la sua battaglia per la rivalutazione di Totò: un atto di giustizia poetica più che storiografica. Dove l’accademia vedeva macchietta, Fofi scorgeva tragedia popolare, invenzione linguistica, riscatto plebeo. Riportare il Principe della risata al centro del canone significava riscattare — con lui — intere periferie umane e urbane escluse dal racconto colto. Così il cinema diventava strumento di alfabetizzazione sentimentale, palestra di coscienza civile.
Contro l’algoritmo del consenso. È qui che il lascito di Fofi si fa bruciante. In un tempo in cui la recensione è compressa a tre emoji su TikTok, la lentezza del suo metodo suona rivoluzionaria. L’algoritmo normalizza il gusto, premia l’omogeneità e punisce la complessità: chi erediterà il testimone della voce “fuori dal coro” se il coro è ormai codificato in righe di codice? La domanda non è nostalgia — Fofi detestava le malinconie da “bel tempo andato” — ma politica culturale: come si garantisce al lettore medio quell’esercizio critico che una volta era filtrato da riviste indipendenti, circoli, cineforum?
Riviste, festival, fondazioni: una geografia in frantumi. Dietro la sua figura si intravede il cimitero di testate nate e morte per mancanza di ossigeno economico. ‘Lo Straniero’ chiuse nel 2016; ‘Gli Asini’ prosegue oggi la sua attività con nuovi editori e una redazione rinnovata. E i festival? Il collasso degli sponsor che ha travolto Edimburgo è solo l’esempio più vistoso di una desertificazione che tocca anche le rassegne di provincia. Fofi aveva già indicato, quasi profeticamente, la via delle università civiche: spazi ibridi, finanziati dal basso, dove studente e cittadino coincidono, e la critica torna a essere un’arte comunitaria anziché un servizio premium.
Lo “straniero” necessario. Fofi praticava una forma di estraneità attiva: stava dentro le lotte — dal dopo-concilio ai movimenti antirazzisti — ma con la freddezza di chi osserva da fuori per coglierne la deriva. È la postura dello xénos greco, forestiero che interroga l’ordine della polis. Oggi quello sguardo ci serve più che mai, perché l’appiattimento algoritmico non tollera l’irregolare: lo silenzia, lo de‑indicizza, lo rende invisibile. Se vogliamo salvare qualcosa del suo lascito dobbiamo immaginare un nuovo ecosistema critico fatto di micro‑riviste digitali a licenza aperta, biblioteche di quartiere come hub multimediali, borse di studio che premiano la lentezza della ricerca anziché la frenesia del contenuto‑flash.
Mappe di lettura disobbediente. La bibliografia di Fofi è una mappa per navigare nella modernità senza confonderla con la moda. Capire il cinema, I cattivi maestri, Campo dei poveri: titoli che non forniscono scorciatoie, ma attrezzi da scavo. Rileggere quei volumi oggi significa riapprendere la disciplina del contesto, antidoto al “tutto e subito” dei feed. E forse scoprire che la cultura, per essere viva, deve sempre contenere un margine di disturbo.
“In un’epoca di recensioni‑emoji, la morte di Fofi ci ricorda che la cultura esige coraggio, tempo lungo e una salutare dose di disobbedienza. Se non disturbiamo nessuno, allora non stiamo leggendo — né scrivendo — abbastanza.”
Parola di uno straniero che, proprio andandosene, ci impone di tornare a guardare il mondo di taglio.
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