Mani nella terra, futuro in torchio

A Santa Cruz di Oleiros la XXXI fiera Alfaroleiros riscrive il patto fra materia, comunità e sostenibilità.

ARTE

by Martin J. Osburton

8/6/20252 min leggere

La rivoluzione silenziosa del tornio. Santa Cruz, 6 agosto. Il parco Luís Seoane vibra al ritmo di 26 torni in azione: artigiani arrivati da tutta la Penisola iberica trasformano l’argilla in anfore che luccicano alla luce atlantica. È la 31ª edizione di Alfaroleiros, fiera nata ai margini di A Coruña e ormai cardine identitario di Galizia. Qui la parola “souvenir” evapora: ogni ciotola porta il battito di un polso, la memoria di un gesto tramandato da generazioni. Il festival inaugura con laboratori aperti, teatro di strada, concerti folk. Una festa popolare, non un bazar patinato. Breve pausa: il profumo del barro umido ricorda che la rivoluzione, talvolta, passa per le mani sporche.

Oltre il folclore, la comunità. Alfaroleiros non vende cartoline: costruisce appartenenza. Famiglie intere modellano tazze nei workshop; bambini ridono mentre il tornio schizza fango; anziani raccontano fiabe di fornaci ancora accese. Il Comune rifiuta logiche da mordi-e-fuggi turistico; preferisce palcoscenici dove teatro civile e showcooking regionale si alternano sotto lo stesso tendone. Così l’artigianato diventa collante sociale, racconto collettivo di chi resta e di chi ritorna. Una domanda sibila fra gli stand: quanta cultura perdiamo quando la città rinuncia al proprio fango?

Manufatti contro il monouso. Dietro il sorriso degli alfareros c’è un manifesto ecologico: la ceramica, dicono, sfida l’usa-e-getta plastico. Un piatto di gres sopravvive decenni, si ricicla come inerte e non rilascia microtossine nei mari. La materia è locale, l’energia impiegata si riduce grazie a forni elettrici di nuova generazione; la durabilità abbatte i costi ambientali di sostituzione. Nulla di teorico: ogni brocca esposta qui pesa di meno, in carbonio, di qualunque bicchiere usa-e-getta. Poche parole bastano: “Compra meno, usa meglio”.

Tradizione che guarda al domani. Molti tornitori sperimentano bioceramiche che, a fine vita, si trasformano in nutrimento per il suolo. Altri collaborano con centri di ricerca: a Castellón è stato acceso il primo forno industriale 100% elettrico del Paese, tagliando del 30% il dispendio energetico e annullando le emissioni dirette. La fiera ospita talk tecnici, non slogan: si ragiona di cicli chiusi, di smalti atossici, di compostabilità. In platea un giovane designer italiano annota: “Qui vedo il domani del made in Italy, se soltanto avessimo il coraggio di copiare bene”.

Una lezione per l’Europa della plastica. Il modello di Oleiros suggerisce un programma politico implicito: rimettere il “fare” al centro dei quartieri, promuovere fiere che non seducano lo sguardo ma sporchino le dita, investire nel patrimonio vivente prima di perdere l’accento delle mani. Potrebbe funzionare nel Nord-Est italiano, nelle città fluviali del centro Europa, là dove la dismissione industriale ha lasciato solo capannoni vuoti? Dipende. Servono amministrazioni che accettino di essere curatrici di processi, non di eventi-vetrina. Serve un pubblico disposto a re-imparare la lentezza. Serve l’argilla come moneta di scambio culturale. Se la politica non sa più dove mettere le mani, immerga le dita nell’argilla: scoprirà che la rivoluzione è prima tattile, poi culturale.