Marco Pierre White: il ribelle con il grembiule – da enfant terrible a gran sacerdote del gusto popolare
Tre stelle a trentatré anni, il gran rifiuto, il microonde “sacro” e un nuovo verbo plant based: ritratto gastronomico di un uomo che non smette di spiazzare.
PASSIONE CUCINA
by Martin J. Osburton
7/21/20253 min leggere


L’ascesa fulminea. Quando nel 1995 la Guida Michelin attribuì tre stelle al ristorante che portava il suo nome all’Hyde Park Hotel di Londra, Marco Pierre White non aveva ancora spento 34 candeline. Era il primo britannico – nonché lo chef più giovane al mondo – a spingersi così in alto. Una medaglia che gli cucirono addosso come fosse definitiva, ma che lui, con la consueta faccia da ragazzino imbronciato, definì solo “il primo tempo di una partita molto più lunga”.
Sette sterline e trentasei. Il mito inizia con un portafoglio quasi vuoto: «£ 7,36, una scatola di libri e un sacco di vestiti». A 16 anni, il figlio di un cuoco di Leeds sale su un treno direzione Londra, entra come commis a Le Gavroche, e capisce che nella metropoli il talento è valuta sonante. Quella manciata di spiccioli diventa il racconto preferito dei suoi detrattori: “Arrivò con niente e con niente stupì il mondo”.
“White Heat”, la Bibbia punk. Nel 1990 pubblica White Heat: foto in bianco e nero di Bob Carlos Clarke, sigaretta tra le labbra, coltelli che scintillano; metà ricettario, metà autobiografia. Per la prima volta la cucina d’autore esce dalle pagine patinate e diventa icona pop: il cuoco che fuma sopra il pass può essere più sexy di una rock‑star. Il libro oggi è considerato “forse il più influente degli ultimi vent’anni”.
Il maestro severo. Nel retrobottega di Harveys – dove le casseruole volavano come frisbee – sono passati Gordon Ramsay, Phil Howard, Curtis Stone e, dicono, perfino Heston Blumenthal (che ancora protesta). White usava la disciplina come certezza, il rimprovero come pedagogia: «lacrime ora, gloria domani». Molti scapparono, ma nessuno nega che da quella cucina sia uscita la spina dorsale della moderna élite gastronomica.
Il gran rifiuto. Natale 1999: al culmine del successo telefona alla Michelin e restituisce le stelle. «Non devo più dimostrare niente a nessuno». La mossa apre l’era dello chef‑imprenditore: i fornelli diventano un asset liquido, il nome un marchio, e la libertà creativa un lusso che costa meno dei voti in guida. Ventisei anni dopo, durante un incontro pubblico nel 2025, confessa: «La vita da chef è solitudine… più hai successo, più ti deprimi. Quando ho raggiunto la cima della montagna, non c’era nulla». Le risate del pubblico si spengono: dietro la scorza del duro c’è un uomo che racconta il vuoto siderale della perfezione.
Dalle stelle alle catene (di qualità). Oggi White corteggia la classe media: Steakhouse Bar & Grill a Felixstowe (27 giugno 2024) e Marco’s New York Italian a Blackpool (1° maggio 2024) promettono “affordable glamour”, piatti iconici a prezzi da serata in famiglia. L’ex enfant terrible firma menù, insegne e campagne social; la cucina vera la lascia a brigate addestrate con lo stesso rigore di un tempo.
Il futuro è (anche) vegetale. Nelle sue 23 steak‑house britanniche compare Redefine Meat, carne “stampata” che imita fibre e succosità del bovino. «La tradizione carnivora deve abbracciare la natura», dice lui, l’uomo che serviva costolette alto due dita. Un paradosso? No: “pragmatismo romantico”, come lo definisce mentre impiatta un filetto di non‑manzo al demi‑glace.
“Il microonde non è il nemico”. Se pensate che il forno a microonde sia la criptonite degli chef, preparatevi al colpo di scena. White lo difende su The Independent: “Il midollo? Meglio in microonde. I reni di vitello? Iniziano lì. I kipper? Due minuti, testa inclusa”. Ai puristi ordina di «togliersi il prosciutto dagli occhi».
La sua filosofia in tre righe. Fra ricordi, polemiche e stock cube, lo chef si concede un momento di lirica: «I grandi cuochi hanno tre cose in comune. Primo: riconoscono e rispettano il fatto che Madre Natura sia la vera artista… e che loro non sono altro che cuochi. Secondo: ogni gesto in cucina diventa un’estensione di sé. Terzo: spalancano una finestra sul mondo. Sono nati in un mondo che li ha ispirati e lo portano nei loro piatti.»
Una contraddizione che profuma di verità. È capitalista quando apre steak‑house in franchising, socialista quando parla di accessibilità del buon cibo: «Nel cuore sono socialista, nella mente capitalista». Un aforisma che illumina le ombre di un personaggio impossibile da ingabbiare: ribelle e visionario, sentimentale e feroce, moderno e nostalgico tutto insieme. «Forse il vero lusso non è mangiare caviale, ma ammettere che il microonde può cuocere un kipper meglio di tua nonna.»
Chi ha voglia di ribattere al “diavolo dei fornelli” alzi la mano – e si ricordi di portare il termometro, perché nel suo mondo la temperatura è sempre oltre il bollore.
Riflessioni
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Creatività
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