Profondo rosso: 50 anni di brividi e ossessioni (arrivederci, quieto vivere)
Il museo del terrore che ci guarda mentre lo guardiamo.
ARTE
by Martin J. Osburton
8/17/20252 min leggere


Un ricordo vivo, rosso, che ha interagito nella maniera più oscura con ognuno di noi. Nessuna trappola retorica: l’uscita italiana di Profondo rosso è del 7 marzo 1975; oggi, 2025, il mezzo secolo è compiuto. La matematica non è un’opinione, e neppure il brivido.
1975: la grammatica del brivido cambia. Il film è il quinto di Dario Argento e segna quel passaggio che tutti avvertiamo: dal giallo con coltello e indizi al vero horror di stile e percezione. Gli studiosi lo definiscono transizionale: congegno da whodunit, ma gesto visivo già oltre, verso Suspiria. Sì, transizione—o forse mutazione.
Torino, Villa Scott e l’estetica del riflesso. Girato in gran parte a Torino, la città “che meglio si adatta ai miei incubi”, tra piazze e teatri, fino alla Villa Scott, capolavoro liberty che diventa enigma in muratura. Il film usa vetri, specchi, vetrate come lame: l’immagine non è solo forma, è indizio, è trappola. Il rosso saturo, le superfici riflettenti, l’occhio che guarda e viene guardato: una poetica di riflessi che ci rende complici. (E sì, piccoli dettagli: i primi piani delle mani dell’assassino sono… le mani di Argento: controllare il gesto significava controllare la paura).
Il battito: Goblin, dopo il no dei Pink Floyd (e l’intuizione di Daria Nicolodi). La colonna sonora è l’altro protagonista. I Pink Floyd declinano; Argento sceglie i Goblin (allora ex Cherry Five). Nasce una prima collaborazione destinata a diventare mito, con temi che pulsano come ansia cardiaca. Più voci attribuiscono a Daria Nicolodi il suggerimento decisivo: dettaglio affascinante, e—va detto—riportato come testimonianza ricorrente. In ogni caso, il risultato è storia: uno score che ha ridefinito la musica del terrore.
Successo, numeri, ritorni: perché ci riguarda ancora. All’epoca Profondo rosso incassa oltre tre miliardi di lire in Italia (decimo della stagione 1974–75): non solo culto—anche fenomeno pop. Cinquant’anni dopo, il film torna in sala restaurato in 4K per tutto il 2025 (grazie a RTI‑Mediaset e Cat People) e continua a circolare in streaming su più piattaforme: il presente, insomma, lo reclama ancora. E qui la domanda inevitabile: siamo noi a cambiare… o è il film che ci rilegge ogni volta?
Una lettura di oggi (senza reverenze). Quello che chiamiamo “violenza estetica” è la forma con cui il film interroga lo spettatore colpevole: guardi troppo da vicino e ti riconosci nel riflesso; guardi da lontano e ti perdi il dettaglio che salva. Gli oggetti suonano come presagi, la musica ti spinge dove non vuoi, lo spazio diventa una mente che si chiude. Non è nostalgia: è un dispositivo che funziona ancora—fastidiosamente bene. (Sì, lo so, suona eccessivo, ma è così).
Cinquant’anni dopo, Profondo rosso non è un film da schedario. È un museo aperto, viscerale: entri per guardare e finisci guardato; esci con un dubbio semplice e feroce—non è il sangue a invecchiare, siamo noi a scolorire davanti allo specchio.
Riflessioni
Uno spazio per pensare oltre la superficie.
Creatività
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