Quando la cultura si fa scudo: arte, algoritmi e scuole nel nuovo fronte contro l’antisemitismo
Dal piano di Canberra ai campus statunitensi: perché l’educazione alla complessità è l’unica vera armatura contro l’odio
LETTERATURA
by Martin J. Osburton
7/13/20253 min leggere


Il paradigma australiano: fondi sotto esame, libertà in bilico. Canberra ha scelto la via muscolare. Il rapporto della “special envoy” Jillian Segal – salutato dal primo ministro Anthony Albanese – prevede il ritiro dei finanziamenti pubblici a università, musei e festival che non dimostrino “tolleranza zero” verso l’antisemitismo e propone filtri sui visti per chi diffonde retoriche d’odio. Una moral suasion che, tradotta in bilancio, può significare la sopravvivenza o l’estinzione di interi dipartimenti umanistici e rassegne culturali.
La misura arriva in un momento in cui gli episodi antiebraici in Australia toccano il record degli ultimi vent’anni. Eppure – ed è il paradosso – la stessa relazione difende la critica alle politiche israeliane come “atto legittimo di libertà intellettuale”. La domanda si impone: può la cura immunitaria del finanziamento condizionato evitare di trasformarsi in censura preventiva?
Il rischio del “silenzio culturale”. La storia insegna che la tentazione di ridurre il dissenso a suono di rubinetti chiusi è antica quanto le arti di corte. Sottrarre voce disinfetta l’aria nell’immediato, ma avvelena il pensiero nel lungo periodo: l’ombra dell’ostracismo finisce per inghiottire anche i discorsi che voleva proteggere. Quando le istituzioni culturali temono la sanzione economica, la prima vittima è la sperimentazione; la seconda, la complessità. Il nuovo puritanesimo dei fondi condizionati rischia di trasformare la piazza pubblica in un coro di slogan inoffensivi.
Algoritmi, media pubblici e l’eco dell’odio. Il dossier Segal non si limita alle aule: punta il dito sugli algoritmi che amplificano i contenuti antisemiti e chiede trasparenza nelle piattaforme social e negli archivi audiovisivi. Ma la governance del codice resta un tabù. A chi spetta decidere quale correlazione semantica debba essere retrocessa agli inferi digitali? Al legislatore, al matematico o al filosofo del linguaggio?
Nel frattempo, i media pubblici – ultimi avamposti di un “noi” civico – oscillano tra l’imperativo di neutralità e la responsabilità di non‑fare‑le‑cose. Se la libertà d’informazione è un bene non negoziabile, la sua qualità diventa oggi la vera frontiera etica.
Lo spettro del “fast‑thought”: lettura profonda in crisi. Attraversiamo l’oceano. Negli Stati Uniti, dove la libertà di parola è totemico del primo emendamento, il dibattito si è concentrato sul calo della lettura profonda fra i giovani. NEAP (National Assessment of Educational Progress) e altri studi mostrano una flessione sensibile delle competenze di comprensione testuale, specie tra gli studenti meno abbienti. Professoresse di letteratura denunciano matricole incapaci di reggere Dickens oltre il terzo paragrafo; al contempo, la giostra dei reel da novanta secondi continua a girare, inoculando frammenti di senso pronti a evaporare.
La correlazione con l’antisemitismo non è peregrina: senza il filtro storico‑critico, miti e fake si fossilizzano, pronte a essere brandite da chi cerca un colpevole facile. Se non sai leggere “Mein Kampf”, finirai per credere alla sua caricatura sui meme – e ridere.
Coltivare complessità, non semplificare. Come possiamo reagire senza cadere nel paternalismo? Partiamo dalle scuole: riportare i romanzi nelle classi, non come orpelli ma come laboratori di empatia; formare docenti all’uso critico delle fonti digitali; favorire scambi interreligiosi e atelier di scrittura collettiva. Musei e festival: programmazioni cross‑culturali, residenze aperte a curatori di comunità minoritarie, percorsi che mostrino l’intreccio millenario fra culture ebraiche e mediterranee. Editoria: dal podcast narrativo alla lettura interattiva, sperimentare formati dove la lentezza non sia noia ma scoperta. Piattaforme: aprire i segreti degli algoritmi a comitati interdisciplinari; introdurre “frizioni cognitive” – micro‑ritardi che spingano l’utente a riflettere prima di condividere contenuti borderline.
Oltre la dialettica censura/libertà. Ridurre l’odio è impresa che abita la zona grigia tra legge e coscienza. La cultura funziona quando diventa abitudine critica, non quando esibisce un sigillo di conformità. È inevitabile, dunque, che ogni tentativo normativo indurisca la superficie: tuttavia, senza un sottofondo di lettura, arte e dialogo, la società resta un deserto pronto a incendiare qualunque scintilla di pregiudizio. In un mondo sempre più frammentato, leggere, discuterne e produrre cultura diventano atti politici: non la censura, ma la curiosità sono l’unica cura possibile.
Riflessioni
Uno spazio per pensare oltre la superficie.
Creatività
martin@osburton.com
+?? ??? ??????? - vuoi sapere il mio numero di telefono ? Clicca qui.
© 2025. Tutti i diritti sono riservati.