Quando la cura diventa un muro

Due tragedie italiane e il conto (mai pagato) della solitudine.

SOCIETÀDISABILITÀ

by Martin J. Osburton

8/16/20252 min leggere

Non è l’orrore che colpisce per primo. È il silenzio. La cura lasciata nuda, senza rete. E allora qualcuno cede — no, precipita.

A Modena (aprile 2025), periferia di Marzaglia, Carlo Salsi, 83 anni, a cui era stato diagnosticato un principio di Alzheimer, ha ucciso nel sonno la moglie Claudia Santunione 79 anni (demenza) e il figlio Stefano (autismo grave). Poi si è tolto la vita. A trovarli è stato il fratello. A Milano, quartiere Corvetto, il 14 agosto, Vincenzo Ferrigno (73), ex edicolante colpito da più ictus, è stato colpito con un coltello e poi soffocato. La compagna, 64 anni, è scesa in strada e ha chiamato il 112 per farsi arrestare.

Il filo che unisce i due fatti. Non il “male”. La solitudine di cura. In Italia i caregiver familiari sono poco più di 7 milioni; il 58% sono donne. Numeri nudi, non di moda: fatica quotidiana, corpi che reggono altri corpi. Intanto vivono tra noi oltre un milione di persone con demenza, circa 600 mila con Alzheimer — una marea lenta che invade i salotti prima degli ospedali.

La coperta corta (e le carte lunghe). L’indennità di accompagnamento è 531,76 € al mese (2024) ed è assegnata alla persona non autosufficiente; non a chi la assiste. Una goccia per il paziente, quasi nulla per chi rinuncia a lavoro, sonno, carriera. Dal 2024 il Governo ha riunito vari capitoli nel Fondo unico per l’inclusione delle persone con disabilità, con dotazione oltre 700 milioni; al suo interno 30 milioni sono destinati in modo specifico ai caregiver. Utile, sì; ma sproporzionato rispetto alla massa di assistenza informale che tiene in piedi il sistema. Quanto all’Assegno di Inclusione, è riconosciuto ai nuclei con ISEE fino a 9.360 € che includano almeno un minore, un over 60 o una persona con disabilità (o inseriti in programmi di cura e assistenza): misura importante, ma non costruita sul lavoro invisibile del caregiver “solista”.

Una proposta semplice (e radicale). Chiamatelo Reddito di Cura: un sostegno stabile, continuo e nazionale per chi assiste quotidianamente un familiare con disabilità gravissima o con demenza. Non elemosina, ma riconoscimento del valore sociale della cura, agganciato a diritti concreti: assistenza domiciliare potenziata, sollievo programmato (il “respiro” che evita il crollo), supporto psicologico, coperture previdenziali e tutele sul lavoro. Non stiamo inventando l’acqua calda: la Spagna prevede una prestación económica para cuidados en el entorno familiar, legata al riconoscimento ufficiale della dipendenza e alla continuità dell’assistenza. È una traccia concreta: adattiamola e finanziamola con serietà.

Domande (scomode) alla politica. Quanto costa non fare nulla? Quanto valgono, nel PIL, notti insonni, ore di attesa, schiene spezzate? Se i caregiver “tengono insieme” pezzi del nostro welfare, perché restano fiscalmente invisibili? Una legge quadro organica è in discussione da anni e procede a strappi: i dossier sono sul tavolo di Parlamento e Governo. Chiuderli, con coperture vere e standard minimi di servizi, non è generosità: è lungimiranza.

Le due scene — Modena e Corvetto — non chiedono pietà. Chiedono una politica vera: vedere l’invisibile, prima che l’invisibile imploda. Non c’è futuro senza cura; non c’è cura senza chi cura.