Quando l’inchiostro era pane: la scrivana dei poveri di Orgosolo

La lezione di empatia di Mariangela Pisanu, settant’anni dopo

LETTERATURA

by Martin J. Osburton

7/27/20252 min leggere

Il telaio della Barbagia.
La Barbagia del primo Novecento è una trama di braccia nodose, pietre scabre e silenzi millenari. In questo scenario, il 15 marzo 1895 nasce Mariangela Pisanu, che la gente ribattezza affettuosamente “zia Mariangela”. L’analfabetismo morde, l’emigrazione svuota le case, la Grande Guerra manda al fronte i ragazzi col corredo di un bacio e di un rosario. Quando lei muore, il 4 luglio 1953, ha già consegnato alla memoria collettiva chilometri di frasi altrui, suturando distanze che parevano oceaniche. Nel luglio 2025, Orgosolo ne celebra il settantesimo dalla scomparsa dedicandole pagine, preghiere e un ringhioso orgoglio barbaricino: «la scrivana dei poveri».

L’ufficio postale in cucina.
Immaginate una finestra spalancata sull’altipiano, un tavolino spelacchiato e un calamaio come unico lusso. La fila di fazzoletti neri – madri, spose, sorelle – attende che la penna di Mariangela traduca in italiano le lacrime e i sospiri del dialetto. Lei ascolta, lima, restituisce: “non troppo pomposo, non troppo spoglio”, ripete a chi la osserva. La lettera parte già piegata in due, segno di pudore verso chi la leggerà al fronte o in miniera. Nella casa‑ufficio si piange e si ride con lo stesso pudore con cui si versa il vino novello. Ed è lì che la parola – bene scarso come l’acqua d’estate – diventa pane quotidiano.

Traduttrice d’anime.
Più che una copista, Mariangela è un diaframma linguistico: passa il barbaricino al setaccio dell’italiano “ufficiale” per gli uffici militari, e restituisce in dialetto le circolari statali incomprensibili. Ogni frase è contrappunto di psicologia spicciola: attenua la notizia di un lutto, esalta un buon raccolto, cela una malattia dietro un aggettivo garbato. In un paese privo di telefono, la lettera è internet in differita, la terapia prima che la parola “psicologia” entri nel lessico contadino. E come ogni buon mediatore, lei giura silenzio: i segreti restano sigillati nell’inchiostro — un sacramento laico ratificato dal rispetto della comunità.

Tracce d’inchiostro e leggende.
Dal 2000 in poi, i ricercatori di storia locale – Serafino Spiggia in testa – setacciano i ricordi degli anziani per far riaffiorare la sua figura. Nei capitoli di Orgosolo racconta leggiamo che zia Mariangela respingeva il denaro: preferiva uova fresche, pane carasau, vino cannonau. Faceva segnare in un quaderno i “debiti di gratitudine”, mai l’elemosina; insegnava ai bambini le prime vocali mentre le madri aspettavano. La scrivana, dunque, non era solo mano che scriveva: era garanzia di dignità per chi portava i calli e non le parole.

Eredità di grafite viva.
Oggi la nostra posta viaggia alla velocità di un tap sullo schermo, ma la domanda pugnala ancora: di quale empatia sono intrisi i messaggi che consegniamo al cyberspazio? Mariangela Pisanu ci ricorda che la tecnologia, da sola, è muta come un sasso; serve la mano che posa l’orecchio sull’altro prima di premere “Invia”. Scrivere per chi non sa farlo è un atto di fede: credere che anche la voce incerta meriti orchestra. E forse, tra un hashtag e una notifica, la pergamena invisibile di zia Mariangela ci sussurra una provocazione che brucia più del sole di Orgosolo: una lingua vale quanto il silenzio che le concede di ascoltare.