Referendum e rifondazione: la sinistra davanti al suo specchio incrinato.
Uno scenario in cui Landini alza il volume, Schlein rischia l’effetto boomerang e Meloni osserva da Palazzo Chigi. In gioco non c’è solo l’articolo 18, ma la cartina di tornasole di una sinistra alla ricerca di sé stessa.
POLITICA
by Martin J. Osburton
6/5/20253 min leggere


“Cinque schede, un quorum in bilico e un Partito democratico che gioca a Risiko con se stesso.”
La bussola smarrita. C’è un bivio, l’8-9 giugno, e non lo si attraversa con i fari lunghi ma con lenti di ingrandimento: cinque quesiti – quattro sul lavoro, uno sulla cittadinanza – che chiedono all’elettore di rimuovere tasselli di legge più o meno incrostati. La CGIL li ha impacchettati come un set di brugole per smontare il “Jobs Act” e ritoccare l’articolo 18; in allegato, la chiave inglese per accorciare i tempi della cittadinanza agli stranieri residenti. Il voto è valido solo se metà + 1 degli aventi diritto uscirà di casa; chiamatelo, romanticamente, quorum.
Schlein e la tentazione dell’armata Brancaleone. Elly Schlein ha indossato l’elmetto con l’entusiasmo di chi vede nel referendum la corsia preferenziale per rianimare un PD languido. L’idea: schierare “compatto” il partito, moltiplicare i gazebo, tornare alle radici operaie. Il risultato, fin qui, è un boomerang: la segretaria ha presentato tre proposte di legge in due anni – poca roba, dicono i cronisti di palazzo – e ora viene raffigurata come generalessa senza plotone.
Il PD si specchia e… si spacca. L’ala “riformista” (Picierno, Gori, Guerini, Madia, Quartapelle, Sensi) ha fatto sapere che riesumare il Jobs Act è “sterile”: guardiamo al futuro, non agli archivi, ribattono. In pratica, si rifiutano di sostenere tre dei quattro quesiti sul lavoro. Il duello è tutto interno ma produce onde lunghe: l’elettore medio sente odore di déjà-vu, la Meloni brinda, la base si interroga sul senso di un partito che impugna lo specchio e ci vede due facce.
Campo largo o campo minato? Slogan: coalizione larga. Realtà: geometria variabile. M5S di Conte: sì a quattro schede, ma col sospetto di voler ereditare l’eventuale fiasco dem. Verdi-Sinistra: all-in. +Europa: tre sì. Italia Viva di Renzi: uno soltanto, giusto per non sembrare estranei alla festa. Risultato: un’orchestra dove ognuno suona in tonalità diversa; il direttore batte il tempo, ma la sinfonia scivola nel rumore bianco.
Il fantasma del quorum. Centrodestra e Governo invitano a restare a casa: astensionismo come tattica di vittoria. I rilevamenti Ipsos e Fanpage convergono: affluenza stimata fra 32 e 38 %, lontanissima dal 50 % + 1. Nel 1985 la scala mobile affondò PCI e CGIL; oggi rischiamo il replay su uno schermo 4K. La politica, intanto, osserva il cronometro: meno votanti, più calcoli di rendita.
“Specchietti retrovisori” e altri anatemi. La Cisl si chiama fuori: Daniela Fumarola giudica i quesiti un viaggio nel passato. Più a destra, Renzi e Calenda alzano la stanghetta: Il problema non è il licenziamento ma il salario, la competitività, la produttività. Tutti fissano il bullone sbagliato, dicono: servono utensili nuovi, non chiavi arrugginite. Eppure, l’idea di riportare l’articolo 18 sul tavolo ha un sapore totemico che nessun consulente di management riesce a sciogliere.
Il sindacato-partito: Landini alza il volume. Nel vuoto pneumatico di leadership, spunta Maurizio Landini. Tre scioperi generali in ventiquattro mesi; ora un libro-manifesto, Un’altra storia, dove incrocia Vangelo e Costituzione come fossero fili di un unico telaio. Invoca una “svolta ecumenica” sostenuta da Sant’Egidio, Papa Francesco, cardinale Zuppi. Tradotto: se il Parlamento non si muove, lo farà la piazza – o la sagrestia. Il suo mandato scade poco prima delle politiche 2027: perfetto per candidarsi a federatore di una sinistra ormai centrifugata.
Due scenari, stessa posta.
Referendum bocciati
Schlein esce con le ossa rotte, Conte capitalizza lo spazio, Landini diventa “papa rosso” e lancia il proprio biglietto da visita per la rifondazione.Referendum approvati (ipotesi oggi remota)
La segretaria dem avrebbe la sua rivincita interna, rinsalderebbe l’asse PD-CGIL, e, paradossalmente, Landini ne uscirebbe ancor più centrale, forte di una vittoria che chiede nuova architettura a tutto il campo progressista.
In entrambi i casi l’esito ridisegna la mappa a sinistra, mentre Giorgia Meloni osserva da Palazzo Chigi, un passo avanti in ogni sondaggio.
Metafora di fine turno. Immaginate una catena di montaggio: stazione uno aggiunge il bullone, stazione due lo stringe, la terza lo controlla. Se manca un passaggio, il pezzo salta; se ogni operaio decide di cambiare utensile, l’intera linea va in tilt. Così la sinistra: ognuno rivendica il segmento, nessuno presidia il flusso. E lo stabilimento – il Paese reale – resta in attesa di un pezzo finito che non arriva mai.
Call-to-action: più voce, meno eco. Qui non si tifa come allo stadio né si scommette sul crollo dell’avversario; si decide se ridare al lavoro un terreno di diritti o lasciarlo al libero mercato. Qualunque sia la bandiera, il punto è semplice: andare o non andare a votare equivale a prendere o disertare parola sul contratto sociale.
“La democrazia non è la sala d’attesa di un treno che passa in orario; è l’orologio stesso, che funziona solo se lo carichi ogni giorno.”
Che si scelga il Sì, il No o l’astensione convinta, l’importante è scegliere con coscienza – non per delega agli algoritmi dei sondaggi né per spot di mezzanotte.
Alzatevi dalla panchina, accendete la vostra porzione di critica, entrate nell’officina dove si forgiano le leggi. O resteremo a contarci i muscoli davanti a uno specchio infranto.
Riflessioni
Uno spazio per pensare oltre la superficie.
Creatività
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