Trentino vs Alto Adige: perché al Nord del Nord piovono stelle (più a Nord che a Sud)

Numeri, disciplina e territorio: anatomia di un divario gastronomico “di confine”.

PASSIONE CUCINATERRITORIO

by Martin J. Osburton

9/4/20253 min leggere

Esiste un confine invisibile che taglia in due la stessa regione. A Sud, la Provincia Autonoma di Trento: laghi, carne salada, Puzzone di Moena, bollicine Trentodoc. A Nord, la Provincia Autonoma di Bolzano Alto Adige/Südtirol: Speck, canederli, schüttelbrot e una costellazione di sale da pranzo dove la disciplina dialoga con il terroir. Non è solo questione di gusto: è sistema.

I numeri non cucinano, ma contano. Le guide 2025 fotografano uno scarto netto: 20 ristoranti stellati (per 24 stelle complessive) in Alto Adige contro 8 in Trentino. Se rapportiamo agli abitanti (stima 2025: 539.386 Bolzano, 546.709 Trento), significa ~3,7 locali stellati ogni 100mila persone in Alto Adige e ~1,5 in Trentino. Non parliamo di oceani demografici: le province sono simili per popolazione. Ma la densità di alta cucina non lo è.

La leva altoatesina: territorio + disciplina (e una regia). In Alto Adige la formazione non è un volantino: Landeshotelfachschule Bruneck e la Scuola Alberghiera “Cesare Ritz” di Merano strutturano percorsi e tirocini; l’hotellerie di montagna fa da “palestra” quotidiana; gli eventi trasformano la neve in menù—vedi A Taste for Skiing e il Gourmet Skisafari in Alta Badia, dove gli chef stellati firmano piatti serviti nelle baite lungo la stagione. Questa filiera, al netto di romanticismi, crea standard e costanza.

Al vertice simbolico sta Atelier Moessmer – Norbert Niederkofler: 3 stelle e Green Star nel 2025, manifesto di una cucina “Cook the Mountain” che seleziona produttori locali, lavora per stagioni e minimizza gli sprechi. Metodo, non folklore. Non a caso i canali ufficiali dell’ente turistico ribadiscono da anni che il Südtirol vanta la più alta concentrazione di chef stellati d’Italia. Non uno slogan qualsiasi: un posizionamento costruito nel tempo.

Trentino: prodotti eccellenti, racconto da accendere. Il Trentino non difetta di materia prima: Puzzone di Moena DOP, Trentingrana, Olio Garda DOP sono icone. La qualità c’è; talvolta manca la regia—quella “passione organizzata” che rende visibile il lavoro. L’esempio virtuoso? Locanda Margon (Trento), 1 stella nel 2025, che ha saputo legare cucina e vigneti Trentodoc con una narrazione coerente. Ma il salto richiede rete: scuole (Rovereto, Levico), resort d’alta quota e consorzi in un patto comune su formazione, carte più essenziali, filiere cortissime e obiettivi Green Star.

La “morale” francese: Carême, Escoffier, fino a Piège e Ducasse. La cucina d’autore sta dritta su tre pilastri: codifica, disciplina, trasmissione. Carême teorizza l’haute cuisine e codifica le grandi salse; Escoffier impone ordine, brigade de cuisine, silenzio operativo. I moderni—Piège e Ducasse—spingono su rigore tecnico e “naturalité”, cioè centralità della materia e leggerezza dell’impianto. Questo DNA, quando incontra l’identità alpina, produce eccellenza: meno fronzoli, più coerenza.

Caso di studio utile (fuori regione): Don Alfonso 1890. Per capire la formula passione + metodo basta guardare a Sud: Don Alfonso 1890 oggi è 1 stella con Green Star. La scheda ufficiale MICHELIN valorizza biodiversità, orto, filiere corte: disciplina etica e radici contadine integrate in una ristorazione di alto profilo. Il messaggio è chiaro: quando racconto agricolo e rigore si sposano, la stella arriva—e resta.

Sostenibilità non come gadget. La Green Star non è un adesivo “eco”: per Michelin segnala ristoranti modello in sostenibilità (filiera, sprechi, materiali, energia). Nel 2025 l’Italia allarga la selezione; nell’area Trentino‑Alto Adige compaiono indirizzi in entrambe le province (da Atelier Moessmer ad Agritur El Mas, El Molin, Prezioso, Terra). La sostenibilità qui non è moda: è infrastruttura competitiva.

Cosa manca (davvero) al Trentino. La domanda non è “perché l’Alto Adige è avanti”, ma: cosa serve al Trentino per accelerare? Proposte concrete: Patto territoriale fra scuole, hotellerie, consorzi (caseifici, olio, vino) e ristorazione; Carte più corte, più focalizzate su materia prima locale in stagione; Filiere misurabili (trasparenza sui fornitori); Obiettivo Green Star come metrica di processo, non di marketing; Eventi-faro identitari—non sagre: format capaci di legare neve, vino e cucina come fa l’Alta Badia.

La passione per il territorio non si posta: si cucina. Se non diventa metodo, è solo uno slogan da menu degustazione. Finché la quantità prevarrà sulla qualità, il Trentino resterà indietro: tra cucina d’autore e il solito kebab d’angolo, pasta al microonde e pizze da quattro soldi, la scelta—per ora—è fin troppo facile. Aspettando le stelle del 2026.