Tziu Remundu, l’ottava che non tace

Raimondo Piras, identikit di un cantadore che ha trasformato la piazza in letteratura viva.

LETTERATURAPOESIA

by Martin J. Osburton

8/13/20253 min leggere

“Un sentito ringraziamento a làcanas e alla società editoriale Domus de Janas per aver gentilmente autorizzato l’uso della loro immagine, tratta dall’articolo “Faula e veridade cantada dae Sozu e Piras” (lacanas.it)”.

Sardegna, anni duri e feste luminose. Un poeta nasce nel 1905 in Villanova Monteleone e muore nel 1978 con la voce ancora calda. Si chiamava Raimondo “Remundu” Piras: improvvisatore, critico, ostinato difensore della lingua sarda.

Cresce autodidatta, a pane e sfide, e a 19 anni è già sul palco di Montresta. La sua scuola è la piazza, non l’aula: ascolta, misura, risponde. Nella gara logudorese impugna l’ottava serrada di endecasillabi (schema ABABABCC) e la rende lama e carezza: arguzia, sintesi, ritmo. Non è solo tecnica – mi correggo, è tecnica che diventa etica – perché in quel gioco collettivo la parola è responsabilità. E c’è anche la musica: i poeti cantano, il tenore entra a ogni distico, respiri e rime si alternano come luci e ombre.

A Villanova Piras dirà sempre di sentirsi figlio di una scuola severa: maestra di poesia e di vita. “Bevi l’acqua di Su Paradisu e diventi poeta”, scherzano. Non è superstizione: è pedagogia di comunità. La gente chiede, corregge, applaude o fischia. In quell’attrito nasce lo stile: popolare, sì, ma con dizione limpida e pensiero affilato.

Poi il buio. Nel ventennio fascita le gare poetiche vengono proibite, per una censura clerico‑fascista che impone silenzi e teme il pensiero libero. Piras non accetta mezze misure: niente palchi finché la parola è con la museruola. Nel 1937 qualcuno riprende, purché niente politica e niente religione; lui no, rientra solo a fine guerra. E la sua ostinazione è già un discorso politico, ancor prima dei versi: chi accetta la lingua amputata, accetta l’anima dimezzata. Oggi saremmo così intransigenti?

Nel suo repertorio spiccano le modas, chiusure liriche che condensano pathos e gesto. Ma è nel 1977 che il poeta firma il suo manifesto civile con il sonetto No sias isciau, pubblicato sulle riviste Sardigna e Natzione Sarda. Bastano cinque parole per capire l’uomo: “Semper sa limba tua apas presente”. Non slogan, ma bussola. Quel verso sarà ripreso anche nelle celebrazioni ufficiali dell’isola (Sa Die de sa Sardigna, 2008): la poesia, quando è vera, passa dalla piazza alle istituzioni senza perdere la voce.

La bibliografia di Piras nasce postuma e porta una firma di garanzia, quella del giornalista e studioso Paolo Pillonca. Arrivano Misteriu (tutti i sonetti, dal 1979), Bonas noas (1981), A bolu (1983), Sas Modas (1984‑85), poi Abbas de terra e Sedas lizeras (inediti, 2006). Nel 2009 l’Opera Omnia (848 pagine + DVD con 10 gare) mette ordine e respiro lungo: ottave con avversari storici – da Barore Tuccone a Peppe Sozu – e un lessico che tiene insieme religiosità popolare, ironia, critica sociale, filosofia minima. Sono volumi che hanno girato l’isola e oltre, contribuendo a fissare – sì, fissare l’effimero – una tradizione nata per essere ascoltata prima che letta.

Gli ultimi mesi hanno il colore dell’epica domestica. Nel 1978 Piras è ancora in scena: Borore (28 febbraio) e Montresta (28 aprile), spesso in duello con Peppe Sozu. A Montresta – ventitré giorni prima della morte – lascia l’ultima scia: “s’ùrtima gara”, la chiama lui stesso in una registrazione oggi disponibile. Non emoziona perché sia un addio, ma perché si sente l’istante in cui una voce diventa memoria collettiva. In quell’ottava c’è la Sardegna intera: la lingua che resiste, il popolo che ascolta, il pensiero che non arretra.

Scheda tecnica (rapida, ma utile). Metrica: ottava serrada di endecasillabi (ABABABCC), distico finale a rima baciata; alternanza di canto e intervento del tenore. • Formato della gara: esordiu, assegnazione del tema, sviluppo a botta e risposta; chiusura con moda (prima del 1976) o sonetto. • Generi e toni: religiosità popolare, satira, etica civile, autobiografia minima, filosofia spicciola. (Sintesi nostra, su fonti critiche citate). • Opponenti celebri: Barore Tuccone, Peppe Sozu, Antonio Cubeddu, Andrea Ninniri. • Curatore: Paolo Pillonca. • Frase‑chiave: “Semper sa limba tua apas presente”.

Un cantadore ti obbliga a pensare in pubblico. Devi scegliere le parole davanti agli altri, a prenderne le conseguenze. La gara non è folklore messo in teca: è una palestra civile. E Piras lo sapeva. Il suo invito? Semplice: custodire una lingua per custodire la dignità. Si tratta di aprire una porta in più, la nostra. E magari – piccola imperfezione, lo ammetto – fermarsi cinque minuti ad ascoltare quelle ottave, prima di giudicare. La sua ottava finisce in rima, ma non si chiude mai: continua a vibrare in chi ascolta. E ti chiede, senza urlare: di che cosa, oggi, non vuoi più essere isciau?