Verità sotto assedio: tra leggende fredde dell’educazione e racconti caldi di censura

Dall’aula dell’Iowa agli scaffali dell’Alberta, fino ai tunnel cifrati dell’Iran: il nuovo conformismo non grida, stringe.

LETTERATURA

by Martin J. Osburton

9/5/20253 min leggere

Non più roghi né proclami. Oggi il controllo sussurra: regole, linee guida, branding, rubinetti chiusi. È un teatro a quattro scene — aula, logo, scaffale, cavo — con lo stesso copione: ridurre l’attrito del dibattito. Funziona? Sì. È libertà? Domanda retorica.

L’aula: l’arte di bilanciare (troppo). Il 12 agosto 2025 la Iowa Board of Regents approva una revisione sull’“uso di temi controversi”. Il testo consente di affrontarli se pertinenti al corso, ma chiede che l’istruzione “fosters critical thinking and avoids indoctrination of one perspective” e che i voti misurino la padronanza dei contenuti, non l’accordo con le opinioni espresse. Sulla carta è impeccabile; nella prassi, lo sappiamo, rischia l’effetto condizionatore: tutto temperato, mai caldo, mai freddo.

Durante la discussione, un reggente chiarisce l’aspettativa: “comprendere entrambi i lati” di un tema. E qui il passo è breve: dall’equidistanza metodologica alla neutralizzazione del giudizio. Quando “ambedue i lati” diventa un riflesso condizionato, anche quando uno dei lati è smentito dalle prove, l’epistemologia cede alla burocrazia. Non lo dico io soltanto: organizzazioni accademiche e per la libertà d’espressione segnalano un possibile chilling effect nelle università dello Stato. Immagine concreta: un docente riscrive il syllabus alle 23, taglia un seminario su razza e democrazia perché teme contestazioni formali. “Meglio non rischiare.” E così, lentamente, si fa sera.

Il logo: simboli come regolamenti non scritti. Capitolo Cracker Barrel. Rebrand costoso, logo minimal senza l’“Old Timer”, tempesta politico‑mediatica, commenti del Presidente e — dettaglio non irrilevante — una telefonata ai piani alti. Poi il dietrofront: “after listening to customers”, il marchio torna indietro in poche ore. Perfino le pagine Pride/DEI scompaiono dal sito. La cultura pop diventa aula magna: si vota con i like e con i titoli in Borsa; i simboli non rappresentano più, disciplinano.

Domanda scomoda. Una catena di ristoranti può fare ciò che vuole col proprio brand — certo — ma quando lo fa con il fiato dei decisori sulla nuca, abbiamo ancora mercato o un plebiscito permanente sul gusto? Dettaglio da non perdere. L’azienda ammette che “poteva spiegarsi meglio”; traduzione libera: la reputazione costa più del restyling.

Lo scaffale: la definizione elastica di “esplicito”. Spostiamoci a nord, Alberta. Nuove regole chiedono alle scuole di rimuovere entro il 1° ottobre 2025 i libri con “contenuti sessuali espliciti”. Governo e maggioranza parlano di tutela dei minori; bibliotecari e docenti denunciano un colpo sproporzionato alle opere LGBTQ+ e l’assenza di una lista ufficiale. In assenza di elenchi vincolanti, circolano esempi ricorrenti: Gender Queer, Fun Home, Blankets, Flamer. Nel frattempo, la provincia prepara standard unici per la selezione dei materiali di biblioteca.

Nota di verifica (importante): in alcune cronache circola l’idea di un giro di vite a “ottobre 2024”. Le fonti ufficiali e i principali media indicano l’entrata in vigore 1° ottobre 2025. Se trovate date diverse, tenete fermo questo punto. Dettaglio quotidiano: una bibliotecaria compila, con i post‑it colorati, l’elenco dei testi da spostare in magazzino. “Solo per sicurezza.” Gli scaffali sembrano più ordinati. O più vuoti?

Il cavo: la libertà digitale al ritmo di un bonifico. Iran. Qui il controllo non sussurra: tronca. Quando calano blackout e blocchi, studenti e attivisti respirano grazie a VPN e strumenti di elusione spesso sostenuti con fondi USA. Nel 2025, però, un blocco dei finanziamenti del Dipartimento di Stato mette a rischio questi progetti: si parla di provider costretti a sospendere servizi (come la distribuzione satellitare di notizie) e di strumenti usati da milioni di utenti. “Not signed off on new funding”: una formula amministrativa, un effetto reale — il silenzio. Dettaglio materiale: l’icona della VPN lampeggia su un telefono in una cucina di Teheran. Connecting… reconnecting… failed. In certi minuti, in certe notti, vince il buio.

Un filo rosso: il diritto a sbagliare in pubblico. Che cosa unisce aula, logo, scaffale, cavo? L’idea che il conflitto — quello verificabile, persino scomodo — sia un problema da neutralizzare. Ma la conoscenza non nasce dall’equidistanza amministrata: nasce da prove, metodi, asimmetrie argomentative. Se tutto è bilanciato per decreto e i simboli devono allinearsi, non è ordine: è conformismo. Preferisco un’aula che rischia la domanda sbagliata a un’aula che recita due copioni; scaffali pieni di strappi a scaffali perfetti e muti; connessioni instabili a connessioni vietate.

Sì, lo so, suona romantico. Meglio: suona responsabile. Perché finché il racconto libero esiste, respira. Ma non si mantiene da solo: si difende, insieme. #LibertàDiPensiero attraversa #Scuola, #Media e rete. E non è un hashtag qualunque: è un dovere civile. Non confondiamo ordine con verità: il primo rassicura; la seconda inquieta — e ci tiene vivi.